L’ETÀ FRAGILE
L’ETÀ FRAGILE
di Donatella Di Pietrantonio, Einaudi, Torino, 2023.
Un romanzo sulla fragilità umana che può presentarsi in qualsiasi fase della vita e sulla capacità di sopravvivenza, ambientato nella natura aspra delle montagne abruzzesi.
LA STORIA
Il romanzo, vincitore del premio Strega 2024, è dedicato “a tutte le sopravvissute” e in effetti la sopravvivenza è il tema centrale a cui si legano altri temi minori. Riescono a sopravvivere, sebbene ciascuna in maniera diversa, i tre personaggi principali: Doralice, Amanda e sua madre Lucia che è la voce narrante. All’epoca della tragedia che è alla base del racconto Doralice e Lucia sono due ragazze ventenni, amiche tra loro che vivono in un paese ai piedi delle montagne in Abruzzo. Doralice, l’unica superstite di una violenza che ha come vittime altre due coetanee, lascia la valle natia e va a vivere in Canada. Ritornerà il meno possibile nel suo paese e sceglie di vivere lontano proprio per poter continuare a vivere. Lucia rimane anche lei sfiorata da quella tragedia che la lascia scossa e piena di rimorsi. Rischia di lasciarsi andare ad una vita apatica e senza scopo ma poi, vedendo la dura esistenza di lavoro e di sacrifici a cui sarebbe destinata, trova dentro di sé la forza di aspirare a un futuro migliore, e riprende così in mano la sua vita uscendo dal tunnel buio in cui si era persa. Gli anni passano, Lucia è ora una donna adulta e ha una figlia, Amanda, che è andata a studiare a Milano partendo piena di speranze , ammaliata dalla grande città. Anche lei purtroppo rimane vittima di una violenza che la lascia ferita nell’anima e nel corpo. Decide di lasciare la città e ritorna a casa della mamma, nella valle. Solo qui, a contatto con la natura e con la gente del posto, troverà la sua ragione di sopravvivenza.
DAL TESTO
Ricordo una sera Doralice imitava quell’uomo venuto da chissà dove. Signorina, non avete degli spinaci al burro per contorno? Non ci aveva lasciato nessuna mancia. Sedute sulle cassette vuote ridevamo a bocca aperta. Il suo modo di rovesciare la testa all’indietro. E’ stata una delle ultime volte che abbiamo riso così. La nostra giovinezza stava per fermarsi e non ne sapevamo niente. Nemmeno il verso cupo della civetta ci ha impensierite.
[………….]
Mi resta il dubbio che di quella sera non mi abbia raccontato tutto. In fondo non era successo niente di grave, pensavo allora. Le avevano rubato solo la carta prepagata e il telefono. La ferita era superficiale, si sarebbe presto rimarginata. Non vedevo il danno più duraturo, la fiducia nel mondo che le avevano strappato insieme alla borsa. Ha dimenticato presto l’episodio, così sembrava. Non ha più voluto parlarne, né con me, né con il padre. Le è rimasto addosso un riflesso che la fa saltare ai contatti improvvisi. Di notte dorme con la luce accesa e quando l’alba entra dalla finestra, Amanda preme l’interruttore e si abbandona a un sonno più profondo. M’intenerisce l’inutile coltellino che a volte si porta in tasca.
[………….]
Potevamo dire di conoscerlo, io e Doralice, o almeno di averlo visto più di una volta quell’estate. Non so di preciso quando era arrivato in Italia, clandestino. Ciarango lo aveva preso a lavorare con sé, forse da due o tre anni. Uno che tiene bisogno, rispondeva se gli domandavano chi era lo straniero. Quando alla stazzo era tutto sistemato, certe sere se lo portava al casotto della Sceriffa, per una birra. Lui montava Fulmine, l’altro lo seguiva sul muro che usavano per i bidoni del latte […]. Erano sporchi allo stesso modo, uguale l’odore di animali che avevano addosso.
RIFLESSIONI
Attraverso un linguaggio essenziale, nervoso, a volte brusco, che rispecchia l’indole della gente del luogo, isolata nella loro valle a ridosso della montagna, l’autrice ci mette a confronto con la fragilità umana che può colpire non soltanto l’età della giovinezza, ma anche quella della maturità e della senilità. Il tema della sopravvivenza, intesa come modo di riappropriarsi della propria vita di fronte a un evento tragico che ci colpisce, è centrale al racconto e ad esso affluiscono altre tematiche minori ma non meno importanti, perché essenziali alla comprensione della vicenda. Tra queste il contrasto tra la città che abbaglia, ma che nasconde nel suo seno il malessere e il disagio, e la valle vista come rifugio sicuro dai suoi abitanti, che non saprebbero vivere al di fuori di essa.
E’ interessante vedere anche come l’asprezza della natura incarnata dalla montagna simbolo denominata il Dente del Lupo forgi sia il carattere che l’aspetto fisico di chi ci vive a stretto contatto, come i pastori Ciarango e Vasile che hanno in sé qualcosa di animalesco.
Proprio come gli attori che alla conclusione di una rappresentazione teatrale compaiono sorridenti sul palco a ricevere il plauso del pubblico, così nella pagina finale del romanzo si materializzano i vari personaggi, sia chi vive nella valle sia chi ne vive lontano, sia chi è in vita sia chi non lo è più, in un gioioso ritrovarsi dove ogni fragilità è vinta da una serena accettazione di se stessi.
L’AUTRICE
Donatella di Pietrantonio (Arsita, provincia di Teramo, 1962) esordisce come scrittrice con Mia madre è un fiume (Elliot Edizioni, 2011), basato sul rapporto tra una donna e l’anziana madre malata di Alzheimer. Pubblica poi Bella mia (Elliot Edizioni, 2013), ambientato all’epoca del terremoto all’Aquila nel 2009, che vince il Premio Brancati. Il terzo romanzo L’Arminta (Einaudi, 2017) ottiene il Premio Campiello riscuotendo un grande successo di pubblico. Il quarto romanzo Borgo Sud (Einaudi 2020) si classifica secondo tra i finalisti del Premio Strega nel 2021. L’età fragile (Einaudi, 2023), vince il Premio Strega nel 2024.
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