FRATERNITÀ in: Il carnevale di Nizza e altri racconti

Racconto breve di Irène Némirovsky, Adelphi edizioni, Milano, 2025

DAL TESTO
Fu allora che si accorse, per la prima volta, di un uomo seduto accanto a lui, sulla stessa panchina, un uomo vestito miseramente, magro, mal rasato, con le mani sporche. Teneva d’occhio un bambino. Il bambino, affascinato dalle rotaie, ci si avvicinava di continuo. Indossava un brutto cappottino logoro e striminzito, un berretto, ai lati della testa si scorgevano due grandi orecchie a sventola; dalle maniche troppo corte spuntavano i polsi e le mani arrossate. Si muoveva con vivacità. Voltava il capo verso la panchina; gli occhi grandi, di un nero acquoso, divoravano il viso magro e sembravano saltare da un oggetto all’altro. Fece un passo in avanti e, benché i binari fossero completamente liberi, l’uomo, che lo guardava con apprensione, si precipitò verso di lui, lo prese tra le braccia e tornò a sedersi, stringendoselo forte al petto. Accorgendosi che lo sguardo del vicino, con indosso abiti costosi, si abbassava sul bambino, l’uomo subito sorrise timidamente.
“Posso chiederle l’ora?”
Parlava con un accento straniero, rauco, che distorceva le parole.


SUL TESTO
Christian Rabinovitch, un agiato uomo d’affari, sta aspettando il treno in una piccola stazione della campagna francese per raggiungere la dimora dei suoi amici De Sévres e unirsi a loro in una battuta di caccia. Nella gelida serata ottobrina Christian, nonostante i suoi eleganti abiti di lana pesante, è infreddolito e anche piuttosto contrariato. Infatti non dovrebbe trovarsi in quell’oscura stazioncina se non fosse stato che, alla guida della sua auto, era andato a schiantarsi contro un pilone. Lui ne era uscito salvo ma l’auto era rimasta danneggiata. Mentre aspetta seduto su una panchina lungo il binario la forzata inerzia, il malumore e la desolazione del luogo agiscono sulla sua mente e mettono in moto una serie di pensieri e di riflessioni su di sé, sulla sua famiglia, sulla sua esistenza in generale. Dovrebbe essere contento, soddisfatto della sua vita di ricco borghese, degli affari che prosperano, degli amici alla cui stessa classe sociale lui si onora di appartenere. Invece, non conosce la felicità. E’ sempre preda di una strana inquietudine, di un’angoscia che gli fa temere di essere continuamente sull’orlo del precipizio, che lo rende sempre prudente e privo di autentici slanci. Tutti lo considerano un uomo assennato, calmo, tranquillo poiché non lascia mai trasparire i suoi stati d’animo. Ma il suo carattere saturnino, incline alla malinconia e al pessimismo, gli inquina la vita. Questi sono i pensieri che si agitano nella mente di Christian quando si accorge che, seduto accanto a lui, c’è un uomo vestito poveramente, trasandato, assieme a un bambino in abiti altrettanto poveri e logori. Nasce una casuale conversazione tra Christian e il suo vicino, che è un ebreo e che, per una curiosa coincidenza, ha il suo stesso cognome, Rabinovitch, di chiara origine ebraica. Un’origine che Christian si è sempre rifiutato di accettare, lui che è così ben radicato in Francia da generazioni e che si sente così simile alle persone della sua classe sociale. Con un senso di disagio ascolta il flusso di parole con cui l’ebreo gli racconta la sua storia, l’esilio forzato dalla Russia, le tristi vicessitudini dei figli, la precarietà della sua vita.
Il treno che Christian aspetta finalmente arriva, lo porterà dai suoi amici, consegnandolo alla vita di sempre. L’uomo però uscirà mutato da quell’incontro alla stazione, costretto senza scampo a riconoscere la sua antica eredità.
Il racconto, che fa parte della raccolta Il carnevale di Nizza, edito da Adelphi, che include 17 racconti scritti tra il 1921 e il 1937, è essenzialmente un acuto studio psicologico del carattere di Christian Rabinovitch. Si domanda Christian, quasi con disgusto, cosa possa avere in comune con l’ebreo malvestito e trasandato che gli siede accanto, a parte avere lo stesso cognome che lo rimanda alla sua origine ebraica, di cui è consapevole con disappunto per alcuni tratti della sua stessa fisionomia (il naso lungo e appuntito, la bocca dalle labbra aride, rese secche “da una febbre trasmessa di generazione in generazione”). Non è mai stato toccato dalla povertà, non ha mai subito privazioni, non conosce il dramma dell’esilio. Eppure quell’ebreo potrebbe essere suo fratello, perché riconosce in lui, in un improvviso lampo rivelatore, la stessa sensazione di angoscia presente nel vivere, la stessa ansietà e la stessa inquietudine millenaria dei suoi avi ebrei: “Ecco di cosa soffro…E’ questo che pago nel corpo, nello spirito. Secoli di miseria, di malattia, di oppressione…Migliaia di povere ossa deboli, stanche, hanno fatto le mie”.
E’ centrale nel racconto, oltre all’analisi psicologica del personaggio, il tema della diaspora ebraica che l’autrice affronta, attraverso le parole dell’ebreo, con accenti di toccante e commovente rassegnazione.


L’AUTRICE
Irène Némirovsky (1903-1942) è stata una scrittrice francese di origine ebraica, deportata ad Auschwitz dove morì dopo poche settimane dall’internamento. E’ considerata una delle maggiori autrici della letteratura ebraica e francese del secolo scorso per la profondità delle sue opere e per la sua capacità di indagare l’animo umano. Ottenne un primo successo con il romanzo David Golder nel 1929, e in seguito scrisse numerosi altri romanzi e racconti. La sua produzione letteraria, nonostante il favore incontrato, fu esclusa dall’editoria durante l’occupazione nazista. Il manoscritto del romanzo Suite francese, rimasto incompiuto a causa della sua deportazione nel campo di concentramento, fu trovato dalle figlie e pubblicato postumo, contribuendo a far conoscere la scrittrice a un pubblico vasto di lettori e a farne apprezzare il talento.